mercoledì 4 luglio 2007

Dormire all'antica

dormireNoi consideriamo naturale un sonno di sette-otto ore ininterrotte, e qualsiasi variante a questo schema ci sembra un problema. Così, le proviamo tutte pur di raggiungere la dose perfetta di sonno: letti rigidi, cuscini anatomici, niente caffeina e qualcosa come tre miliardi di euro spesi in pillole per combattere l'insonnia. Eppure, una recente scoperta e la rilettura dei classici della letteratura sul sonno indicano che questo bisogno, forse, è solo una leggenda.

Questo attacco al senso comune non parte dai laboratori di un'azienda farmaceutica né da un programma di ricerca universitario, bensì dal lavoro dello storico A. Roger Ekirch, professore al Virginia Tech. In At Day's Close: Nights in Times Past, pubblicato nel 2005, Ekirch rivela che in epoche preindustriali, prima che si diffondessero l'illuminazione a gas o l'elettricità, l'uomo dormiva in due fasi spezzate: il primo e il secondo sonno. All'epoca, il sonno era legato alla luce naturale. Dopo il tramonto ci si ritirava a letto, si dormiva per circa quattro ore e poi ci si svegliava. A quel punto, si rimaneva svegli un paio d'ore e poi, verso le due di notte, si tornava a letto per altre quattro ore.

Il periodo tra il primo e il secondo sonno permetteva un sereno raccoglimento e, per chi viveva in coppia, l'intimità sessuale. Ma ci si alzava dal letto anche per dedicarsi alle faccende domestiche, o per intrattenersi con parenti e amici. Naturalmente questo andamento del sonno non è più la regola nei paesi sviluppati, dove la luce artificiale ha allungato la giornata lavorativa. Eppure gli antropologi osservano ancora una simile tendenza in alcune tribù africane.

Mente&Cervello, giugno 2007, n. 30

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