domenica 5 agosto 2007

E’ stato in più posti Dante o Garibaldi?

paolo e francescaVoglio segnalare degli affascinanti viaggi alla scoperta dei caratteristici borghi medioevali che incorniciano la città di Pesaro, città nella quale risiedeva Gianciotto Malatesta, marito di Francesca, uno dei più famosi personaggi citati da Dante Alighieri nella Divina Commedia. Forse proprio a Pesaro, nel palazzo sopra l’Arco della Ginevra, ebbe luogo la tragedia di Paolo e Francesca.

Suggestivi weekend nell'atmosfera dantesca per conoscere un angolo di territorio marchigiano, al confine tra Romagna e Toscana, che il poeta cantò con passione e dolore, a partire dal tragico amore che qui si consumò tra Paolo e Francesca, fino al terribile quanto abile condottiero ghibellino Bonconte da Montefeltro, che chiede a Dante notizie sulla sua terra tra San Leo e Urbino.

Gradara, città nella quale una tradizione affermata colloca la tragedia di Paolo e Francesca, i due innamorati citati da Dante Alighieri nella Divina Commedia, che ebbe probabilmente come teatro proprio il castello della città.

A metà strada fra Cipro e Maiorca c’è Gabicce Mare (“fra l’isola di Cipri e la Maiolica”… “presso alla Cattolica”) e se lo dice Dante, che ha tanto girato, ci si può fidare. Si sale alla dantesca Focara per vedere da lassù la Rocca in cui, secondo molti, Paolo il bello e la sua cognatina Francesca sono morti per amore

Da Pergola e nella Valle del Cesano si giunge ad un luogo spirituale, affascinate e silenzioso, citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia: il Monastero Camaldolese di Fonte Avellana.

Alla corte di Filippo di Spagna l’erede al Ducato di Urbino millantava la quantità di vino di tutta Pergola come prodotta da un solo pergolato. Più seriamente, secondo Dante, a Fonte Avellana San Pier Damiani si nutriva “con cibi di liquor d’ulivi”.

L’inespugnabile Fortezza di San Leo, gioiello dell’architettura militare ideato da Francesco di Giorgio Martini, citata da Dante Alighieri nella Divina Commedia, prigione di un famoso ed enigmatico personaggio, mago, alchimista, medico, guaritore e massone, che qui morì dopo oltre quattro anni di prigionia.

Le genghe che portano a San Leo, sono citate da Dante come paragone per la salita al Purgatorio.

Nel tempo in cui i Malatesta e i Montefeltro costruivano i loro domini fra il monte e il mare ed Uguccione da Casteldelci costruiva in Toscana la sua fama, per cui Dante gli dedicò il poema, altri come Guido della Petrella aspettavano al varco i viaggiatori ricchi e li sequestravano per avere il riscatto: Dante non ne parla, perché forse quando è passato da qui non aveva più un fiorino in tasca.

Risalendo la vallata del fiume Metauro verso le sue sorgenti, presso l’Alpe della Luna, si trova Castello della Pieve, un meraviglioso borgo medioevale strappato all’oblio nel quale probabilmente fu deciso l’esilio del fiorentino Dante Alighieri. Qui sicuramente Dante non c’è venuto perché il suo arcinemico, Corso Donati, era dal 1300 Rettore della Massa Trabaria, cioè responsabile del governo di questo territorio fra Sant’Angelo in Vado e l’Appennino. E’ quindi probabile che si sia deciso al Castello della Pieve il suo esilio da Firenze e non, come altri vorrebbero, a Città della Pieve.

Le famiglie degli Ubaldini e dei Brancaleoni lottarono a lungo per il dominio di queste vallate. Dai loro nidi d’aquila della Carda e del Montiego presso Piobbico e davanti alla Val d’Abisso, si affrontarono in uno scontro secolare che si concluse sotto il dominio urbinate. Ottaviano Ubaldini, il fratellastro mago e filosofo del Duca Federico, veniva dalla famiglia del Cardinale Ottaviano e del vescovo Ruggieri, entrambi messi all’Inferno da Dante.

Già all’epoca di Dante, secondo lui, non erano più i tempi del buon “Guido di Carpigna” e se ne lamentava dicendo: “Oh, Romagnoli tornati in bastardi !”. Non è forse strano allora che, dopo i tanti che sono scesi dai monti a governare la costa, oggi ci sia attorno a Carpegna qualcuno che ha voglia di farsi governare dai romagnoli ?

Urbino serve a Dante solo per una definizione geografica: Guido da Montefeltro gli dice “…io fui de’ monti là intra Urbino / e ’l giogo di che Tever si diserra” . Quei monti, da cui sette secoli fa venne la splendida signoria guerriera, sono sempre in vista della Città Ducale.

Per ulteriori dettagli sui 10 weekend della rassegna www.ilgrandealbero.com

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